martedì 4 ottobre 2011

Falce e carrello... atto finale

Siamo forse tornati alla repressione del KGB o alla distruzione dei libri ebrei da parte dei nazisti?
Tutti voi ricorderete la polemica di Esselunga (tramite il suo fondatore Bernardo Caprotti” contro le cosiddette “Cooperative Rosse”. Ebbene, negli ultimi giorni di settembre Caprotti è stato condannato per denigrazione del concorrente e illecita concorrenza ordinando anche il ritiro del suo libro dal mercato. Leggendo la sentenza di condanna appare chiaro che il giudice ha voluto condannare Caprotti per illecita concorrenza in quanto denunciava l’aperto ostruzionismo degli amministratori locali e degli operatori economici delle “regioni Rosse” con un un vero e proprio intervento censorio. Ormai l’art. 45 della nostra Costituzione (La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.) ormai è stato completamente travisato con leggi “ad personam/Coop”: sgravi fiscali dovuti alle veste di “Cooperativa” e facilitazioni di tutti i tipi per permettere alla più grande strutture “rossa” italiana (la storia ci insegna che fu voluta da Togliatti proprio a Reggio Emilia) di diventare un impero economico che muove centinaia di miliardi di euro soprassedendo alle più elementari leggi del libero mercato. Non sono in principio contrario alle Coop, ma credo che strutture di questo genere (così come le banche popolari, altro esempio di cooperativismo a scopo di lucro) dovrebbero essere riformate e poste sullo stesso piano di tutti gli alitr operatori economici per garantire un reale equilibrio del mercato. Sono cliente sia di Esselunga che di Coop (Coop Nord Est) e da tempo mi chiedo: perché per fare la spesa in Esselunga ed in Coop, comprando gli stessi articoli, spendo praticamente la stessa cifra? Se le facilitazioni fiscali di cui godono le Coop fossero davvero traslate sui prezzi (ricordo che le coop non hanno, o meglio non dovrebbero avere, fine di lucro) allora non ci dovrebbe essere una consistente differenza? Applicando gli stessi prezzi (cioè registrando gli stessi ricavi in bilancio) e sopportando minori costi (dovuti in gran parte alle facilitazioni fiscali) è evidente che allora le Coop godono di un privilegio non accettabile sul libero mercato generando quindi un fine di lucro incompatibile con la “veste” cooperativistica. In sostanza le Coop hanno da tempo perso le caratteristiche che costituzione e leggi ordinarie sulle cooperative intendono tutelare: di fatto esercitano una attività economica organizzata che è incompatibile con la loro stessa natura. E chi osa sollevare il problema… FA CONCORRENZA SLEALE!!!!
Si parla tanto di liberalizzazioni, di privatizzazioni, di eliminazione della casta… ma solo di quella degli altri: i privilegi delle cooperative sono intoccabili!!!!!
E ditemi per favore, in estrema sincerità, qual è il beneficio sociale apportato dalla Coop (anche considerando che applica gli stessi prezzi di coloro che coop non sono)?
Il concetgto di fare impresa è differente, ed è con questo spirito che pubblico la lettera che Caprotti ha scritto al Corriere della Sera dopo la sentenza di condanna:

Caro direttore,
dal Corriere di domenica scorsa vedo che la vicenda diventa politica e questo non mi piace. D'altronde lo è. Coop, Legacoop, eccetera, politica lo sono per decisione e scelta di Palmiro Togliatti, nel 1947 a Reggio Emilia. Per quanto riguarda la sentenza, il tribunale di Milano è stato forse clemente: non ha ammesso la diffamazione, ci ha condannato solo per concorrenza sleale. Io sono soltanto sleale, cioè «unfair», subdolo e tendenzioso.
Un niente, di questi tempi! quasi un gentiluomo. E per i danni subiti da Coop per questa sleale concorrenza ha accordato 300.000 euro invece dei 40 milioni richiesti!
Il libro? Non si ordina neppure di bruciarlo sulle pubbliche piazze. Io, per quanto mi riguarda, vorrei però rimettere le cose nei termini appropriati. Quando mi si accusa di «attacco» - per non parlar del resto - si dice una bugia. Sono cose intime, esistenziali, ma perché non dirle? Nell'estate del 2004 sono stato gravemente ammalato e, stordito dal Contramal, un antidolorifico tremendo, caddi di notte in bagno e mi fratturai la colonna vertebrale. Inoltre quattro mesi prima mio figlio se ne era andato. Mio figlio non è mai stato scacciato, mio figlio non ha mai fatto nulla di male, semplicemente si era attorniato di una dirigenza non all'altezza. Per me il suo autonomo allontanamento è stato un grande dolore. Ricordo quell'autunno 2004, come un periodo tristissimo, di grande sofferenza e di estrema debolezza.
È in questo 2004 e nell'anno seguente che, nella mia defaillance, fui oggetto di una vera e propria aggressione.

Le dichiarazioni ai giornali di Aldo Soldi, presidente di Ancc (Coop), che voleva Esselunga, si susseguivano. L'amministratore delegato di una grande banca, tuttora in carica, venne due volte, «dica lei la cifra, la paghiamo in settimana, al resto pensiamo noi». Poi il prestigioso
studio legale, per conto dichiaratamente di Unipol. Sono solo due esempi. Finché l'allora presidente del Consiglio, Romano Prodi, dichiarò in televisione che occorreva mettere assieme Coop con Esselunga.
In quale modo, non disse.
Questo sì che fu l'«attacco» che ci costrinse a fare chiarezza sui giornali! Vorrei poi che qualcuno mi spiegasse come si può «tenere insieme» e condurre un'azienda in queste condizioni. È da tutto ciò che nasce, in sintesi, «Falce e Carrello»! Io avvertii Soldi, poiché la mia educazione ottocentesca a ciò mi impegnava. Ma intendevo solo raccontare alcuni episodi vissuti, documentati, oserei dire, sofferti.
Cioè denunciare qualche «stravaganza», chiamiamola così, di quel sistema. Però, evidentemente, ho commesso un errore e me ne scuso: infatti è stato interpretato come un «attacco» al più grande Istituto Benefico del Mondo, una Istituzione che ha un milione di dipendenti, quando la Croce Rossa Internazionale ne ha soltanto 12.500.
Mi sono così tirato addosso sette cause, che mi sembra possano bastare.
Tutto qua. Io non concepisco questa Italia di destra o di sinistra. Ho amici a sinistra, come certamente ne ho a destra. Sono stato educato nel credo della libertà e nel rispetto del prossimo.
Bernardo Caprotti